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Sopra eroi e tombe, un viaggio apparente nel nulla

Sopra eroi e tombe, Ernesto Sabato

Non capita spesso di leggere un libro di quasi seicento pagine, nell’incapacità di appoggiarlo e trascinati da una forza magnetica, senza però aver chiaro fino alla fine, e forse anche dopo, di che cosa quel libro volesse parlare. Eppure Sopra eroi e tombe, considerato il capolavoro di Ernesto Sábato, fa quest’effetto. Il romanzo inizia con una prolessi che ci svela già come finiranno alcune vicende, e la prima scena della narrazione vera e propria si apre su Buenos Aires, scivolando a volo d’uccello verso un parco dove un ragazzo siede su una panchina ripercorrendo fra sé e sé le tappe di una relazione ormai sfiorita.

«E molto tempo dopo, ricordando quel momento pensava: come abitanti solitari di due isole vicine, ma separate da insondabili abissi.»

C’è una storia d’amore dunque, il giovane Martìn è stato bruciato da una passione per l’enigmatica Alejandra, personaggio iconico e pregno di significati. Una donna che impersona la crisi di tutta un’epoca, la malinconia depressiva dell’individuo del Novecento, e discendente, com’è ovvio, di una grande e antica famiglia in sfacelo, i cui assurdi componenti abitano i corridoi e le stanze di un’enorme villa in rovina. Sopra eroi e tombe è infatti disseminato di quegli elementi che ci si aspetta di trovare in un grande romanzo sudamericano, in bilico costante tra particolare e universale, tra individuo e umanità, tra verismo e surrealismo, per poi germogliare dalle vicende dei due giovani innamorati infiniti personaggi e intrecci, tanto che il romanzo di Sábato diviene a tutti gli effetti un’opera totale. Uno di quei lavori narrativi che sembrano non escludere nulla sul loro cammino ma tendono a integrare costantemente, assommando vicende all’infinito.

«È una bambina magra e pensierosa, violentemente e duramente pensierosa: come se i suoi pensieri non fossero astratti, ma serpi impazzite e in calore.»

Sopra eroi e tombeC’è l’Argentina in questa storia, una nazione ancora scossa, negli anni ’50, da tumulti rivoluzionari e regimi che si alternano: c’è tutto un mondo. Poi un’improvvisa contrazione. La terza parte del romanzo diventa una realtà a sé, connessa al resto delle vicende solo in quanto raccontata da un personaggio noto, ma a tutti gli effetti una lunga digressione dai toni kafkiani del tutto slegata dal resto, e di una tale autonomia poetica che fu anche pubblicata a sé stante.

«La sua memoria è composta di frammenti di esistenza, statici ed eterni. Il tempo non passa: fatti accaduti in epoche molto lontane tra loro sembrano avvicinati da strane simpatie o antipatie. O forse emergono alla superficie della coscienza connessi da fattori assurdi ma potenti, come una canzone, uno scherzo, un odio condiviso. Per lei, adesso, il filo che li unisce è un certo accanimento nella ricerca di qualcosa di assoluto. Sembrano accumunate parole come: Padre, Dio, spiaggia, peccato, purezza, mare, morte.»

Sopra eroi e tombe è appunto il grande lavoro di Sábato, travolgente, elusivo, ossessivo nella ricerca della complessità e della contraddittorietà dell’individuo: uno sforzo degno di essere affiancato ai russi nei quali l’autore ricerca esplicitamente un modello, in particolare in Dostoevskij.

Un libro da capire, pensavo girando pagina dopo pagina, ma forse in realtà il punto è lasciarsene travolgere più che dissezionarlo, in modo che possa toccare quelle corde che sicuramente non manca di far vibrare, accogliendone la storia, anche quella con la S maiuscola che mette in scena di straforo.

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