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Raccontarsi negli ultimi istanti per Elif Shafak

Leila Tequila era il suo nome. L’unico che avrebbe rivendicato con orgoglio, l’unico che si era scelta davvero. È questo l’inizio dell’ultimo romanzo di Elif Shafak, un’indicazione di identità conquistata con fatica, legata a una donna che fin dalle prime pagine ci parla dall’interno di un cassonetto. Sta morendo, è stata aggredita. Nei 10 minuti e 38 secondi che la separano dalla morte vera e propria Leila ripercorre con la mente i ricordi di tutta la sua vita, restituendola al lettore tassello dopo tassello. 

I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo è il racconto di una donna che dalle province orientali della Turchia, dove era nata, è fuggita verso la ricerca di una vita diversa, più libera, più indipendente. La meta del suo viaggio era Istanbul, città che più d’ogni altra si ergeva come un faro di speranza e rinascita negli anni ‘60, quel luogo che Shafak definisce «un’illusione. Un gioco di prestigio finito male» e che porterà la giovane protagonista a vivere e lavorare nella strada dei bordelli, come sex worker. Si rivelano essere voci di sirene quelle luci che si riflettono sul Bosforo, il riscatto forse non è davvero per tutti. 

Elif shafak e leila tequila

Eppure l’antica Costantinopoli riesce ad accogliere anime perse dai luoghi più disparati, è così che si forma la famiglia di Leila Tequila, quella «d’acqua» e cioè quella che ci scegliamo, come direbbe Nalan la nostalgica, che ne è a pieno titolo un membro. Quell’insieme di persone che formano un nucleo cui tornare ogni volta, un luogo sicuro. Così la protagonista, minuto dopo minuto, ci racconta anche la storia dei Cinque, i suoi amici più veri e sinceri. 

Elif Shafak crea un gruppo di emarginati e soggettività oppresse che cercano di affermarsi in una società schiacciata tra progresso e fondamentalismo. L’ombra della politica si estende sulle vicende, facendone da sfondo e spingendo i personaggi ad attraversare Istanbul in piena notte per raggiungere il Cimitero degli Abbandonati. Un surreale viaggio verso l’aldilà con lo scopo di rendere giustizia alla memoria di Leila, e con lei, simbolicamente, a tutti gli abbandonati e i dimenticati.

Questo romanzo, arrivato nella shortlist del Booker Prize del 2019, si rivela essere un’opera volta a portare a galla le voci che si disperdono nella folla senza essere distinte, Shafak lo dedica «alle donne di Istanbul», ai volti che spesso sono tra i più dimenticati. Orhan Pamuk, nel suo Il museo dell’innocenza, dedica un capitolo a quegli stessi volti, raccontando di come sui giornali si parlasse spesso di donne la cui verginità era stata insediata o cui avevano rinunciato per vari motivi. Tra misoginia e malcelato pudore era frequente vedere le foto di queste donne, delle quali una parte consistente erano prostitute arrestate, pubblicate con una striscia nera sugli occhi in modo che non fossero riconoscibili, giacché socialmente il loro comportamento non era minimamente accettabile.

Come altre opere di questa scrittrice, il libro è anche un canto per Istanbul, raccontato col cuore di chi ha dovuto abbandonarla per motivi politici, ma che per amore ha lasciato una parte di sé in ogni angolo di quella città che non si stanca mai di ricordare. 

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