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Canone improprio: riflessioni sul caso Tamaro

Canone improprio

Addentrarsi oggi nella polemica giornalistica è una pratica come minimo da giochi senza frontiere. Non fa eccezione l’acceso dibattito attorno alle parole di Susanna Tamaro al Salone del libro di quest’anno, rea – a leggere titoli di giornale e pure la lettera della Fondazione Giovanni Verga – di avere indecorosamente minato la letterarietà dello scrittore siciliano. Ovviamente non è affatto così

La riflessione di Tamaro non riguardava infatti la qualità letteraria di Verga, né di Dante, ma partiva invece da una questione molto semplice: l’attuale canone scolastico favorisce o no la diffusione della pratica della lettura? Di questo dovremmo parlare perché la domanda è anche perfettamente retorica: l’Italia è in fondo alle classifiche di lettura in Europa e a guardare i dati per fascia d’età dopo la scuola la percentuale di lettrici e lettori crolla in modo imbarazzante. 

Per cui almeno si può partire da un dato comune, e cioè che se si ritiene che la lettura sia una pratica da incentivare – e i motivi ci sono tutti – allora stiamo miseramente fallendo. A questo punto chiedersi se c’entrino anche i contenuti, oltre ai metodi, dell’insegnamento è una domanda doverosa. Ci si potrebbe fermare già qui per smontare le accuse ricevute da Tamaro sul piano giornalistico e mediatico, tutte rivolte non a ciò che aveva detto ma alla paura che si andassero a minare i fondamenti della civiltà italiana – ahi ahi queste fragili identità! -, ma sul tema da aggiungere c’è molto.

Almeno due riflessioni: il canone e la funzione della scuola. Che il cosiddetto canone letterario sia problematico dovrebbe essere chiaro a chiunque: lo è per chi studiandolo ha notato la cancellazione di autori di altissima qualità letteraria per via di processi storici; lo è per chi denuncia giustamente la rimozione delle donne; lo è per la semplice consapevolezza che ogni recinto concettuale, quando si applichi a una convenzione ad escludendum, è figlio del sistema di potere e controllo socialmente centrale nel momento specifico (lo si chiamerebbe patriarcato se non ci fossero parole che fanno tanta paura). 

E poi la scuola: si è speso tanto nel cercare di mettersi d’accordo sul dovere della scuola in ambito letterario e concettuale. I programmi ministeriali – con qualche cambiamento recente che forse va in altra direzione – si basano sui cosiddetti contenuti minimi. In questo senso si basa su un insieme di contenuti appunto più che sulla necessità di acquisire strumenti. Sicuramente abbiamo la necessità di creare un dialogo comune, quindi anche dei contenuti comuni, che ci mettano in relazione e nessuno o nessuna di noi si sognerebbe di togliere Omero dai programmi (Ma anche qui allora perché fare Iliade e Odissea e non guardare neanche da lontano il Gilgamesh?) d’altro canto però dove sta la certezza che per Dante servano due o tre anni di programma? L’impressione è che già chi scrive i programmi dia per scontato che se Dante non lo si fa leggere il più possibile a scuola allora poi quasi nessuno ci tornerebbe sopra, e la triste constatazione è che in effetti è così. Il dato certo, come si diceva, è che l’attuale canone scolastico non produce lettori in questo paese (e no, non è la scuola l’unico motore di questo problema ma è sicuramente quello su cui sarebbe più facile intervenire). 

Non mi metterei a fare una cernita di nomi, non lancerei lì sentenze specifiche su cosa togliere e cosa aggiungere, ma credo che delle suggestioni si possano gettare, e sarebbe da ringraziare Tamaro per averci provato. Questo perché sono abbastanza sicuro che con Verga potrebbe farsi leggere almeno altro. Perché non fare leggere King (Stagioni diverse se non It) come autore di romanzi di formazione? Perché concentrarsi su Dante più che su Petrarca (come si fa da quando De Sanctis ha impattato il canone, prima era altra storia in merito), giacché chi sta scoprendo quanto bruci un amore in adolescenza potrebbe sicuro ritrovarsi di più in lui che non nell’angelicata Beatrice? Non a caso l’episodio prediletto della Divina Commedia da generazioni a oggi è la vicenda di Paolo e Francesca. Suggestioni sparse appunto, ma come sempre quando si va a toccare certi punti si preferisce insorgere facendo barricate piuttosto che mettersi in gioco in un confronto

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