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Con Murgia perderemo un pezzo di resistenza

Mi ha colpito osservare le reazioni nelle ultime settimane attorno all’intervista di Michela Murgia relativa al suo stato di salute. Colpisce incassare la notizia, ma ancora di più notare a quali derive ha portato il mare magnum di chi, dentro e fuori dai social, ha sempre detestato la scrittrice. 

Tralasciando chi ha lasciato commenti con scritto «karma» sotto i vari rilanci dell’articolo, non ho potuto fare a meno di notare la quantità di persone che ha espresso rammarico ma sottolineando, chi più chi con meno forza, che comunque non si condividevano molte (o tutte!) le posizioni espresse da Murgia, e che lei stessa avrebbe sparso odio più volte – spesso politico, pare – contro mezzo mondo. Da qui già due spunti di riflessione che mi hanno accompagnato in queste settimane: necessità di segnalare le distanze e accuse d’odio. Il secondo tema l’ho liquidato in fretta, dove, quando e come sono domande sul merito che non trovano risposta, e il popolo del web ha dimostrato più volte di avere difficoltà a interpretare cosa sia il linguaggio violento – ma pure i gesti se consideriamo che molte persone non hanno neanche condannato il sonoro applauso delle destre sull’affossamento del Ddl Zan, quella sì espressione della gioiosa macchina d’odio di una certa parte politica. Il tema della presa di distanza mi ha invece costretto a pensare a lungo. 

Mi sono chiesto da dove arrivasse il bisogno di molte persone di sottolineare ancora una volta come comunque in qualche modo Murgia avesse peccato nel suo agire, soprattutto considerato che l’azione comunicativa era apparentemente di cordoglio, se non almeno di solidarietà. La banale risposta che mi sono dato è il grande impoverimento della nostra capacità di confronto e dibattito. Non dovrebbe servire prendere le distanze da un’intellettuale che porta avanti dei temi arricchendo la scena culturale e di pensiero, a meno che non si sia ormai così sulla difensiva e ancorati alla nostra malmessa e malintesa identità (o integrità?) da doverci chiudere a riccio per paura di un confronto. E, lo sottolineo, il tema che si pone è quello dell’incontro con l’alterità, sono le anomalie del pensiero che ci fanno crescere, non le analogie. Poi, chiaro, che Murgia sia donna non è secondario rispetto alla quantità di violenza che ha ricevuto in questi anni. 

Anni fa intervistai per La Falla Elena Monicelli, Coordinatrice della Scuola di Pace di Monte Sole, si era in zona 25 aprile e per questo posi una domanda sull’attualizzazione della resistenza. La prima frase della sua risposta mi marchiò a fuoco: «È una domanda complessa. Per quello che mi riguarda, la resistenza oggi è resistenza alla semplificazione». Il punto forse è che stiamo perdendo di vista proprio il valore della complessità e Michela Murgia, quel valore, lo ha abitato come poche altre persone sulla scena del dibattito italiano hanno saputo fare. C’entrano i contenuti e le modalità? No, non come punto di partenza perlomeno, c’entra la bellezza che può derivare da uno scambio di idee che ci sfida proprio sui nostri fondamentali, che ci spinge a portare più in là la nostra capacità di elaborazione, che possa farci gioire dell’incontro con l’alterità. 

Quello che sono arrivato a pensare in queste settimane è in fondo molto semplice quanto per me innegabile. Per dirla applicando il concetto di cui sopra: con Murgia perderemo un pezzo di resistenza, uno bello grande, e su questo il rammarico dovrebbe essere collettivo. 

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