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Quando l’erba dell’America è sempre più marrone

Sull’indignazione antiamericana rispetto alla sentenza a tema aborto. 

L’indomani dell’abolizione, da parte della Corte Suprema d’America, della sentenza Roe v. Wade – che da cinquant’anni garantiva il diritto d’aborto negli Stati Uniti – assistiamo a una giusta indignazione dilagante sui social e non solo. Quello che stupisce, o almeno perplime, è l’appiattimento del dibattito nelle usuali dinamiche vinci o perdi in cui si sposta il focus dal tema centrale demonizzando l’interlocutore. Invece di concentrarsi sul caso in sé, e sulle terribili conseguenze che avrà, si sta diffondendo il solito sentimento antiamericano con attacchi frontali a quello che viene considerato un dato fondativo della cultura statunitense, ossia l’american dream

Si leggono in giro statement del tipo «ora dovrete abbandonare il mito del sogno americano» oppure «cosa vi aspettavate dal paese del turboliberismo». Persino nelle bolle social legate alle community di lettrici e lettori si malcelano attacchi a chi della letteratura americana ha fatto una passione (distrattamente va segnalato che si tratta della letteratura estera più tradotta e letta in italia). 

L’assurdità di queste posizioni si manifesta anche nell’ipocrisia delle critiche dilaganti: se stiamo tutte e tutti guardando agli Usa per questa sentenza, è perché volenti o nolenti il nostro immaginario è profondamente legato a quello americano. Sarebbe ingenuo sostenere il contrario e riconoscere questo dato non vuole certo essere salvifico rispetto al sistema culturale americano, conosciamo bene il male insito nell’occidentalismo. Chi guarda all’America con interesse, sia tramite letture che attraverso altri media, dovrebbe avere come minimo coscienza di quanto il sogno americano sia un’illusione. Chi non l’aveva già notato è proprio chi ora ne denuncia la caduta. 

Sotto il profilo letterario la denuncia dell’inconsistenza di quell’ideale è proprio nucleo centrale della contemporaneità, ma ha radici ben ancorate nel passato: se Fitzgerald ci ha insegnato qualcosa è proprio che sotto l’illusione di sfarzo e lustrini si cela la caduta (Gatsby docet). L’emersione di altre voci americane nel panorama letterario, molte più donne, persone queer, native american ecc. non fa che confermare tutto questo. 

Se poi chi si sveglia ora a sottolineare l’ovvio ha più interesse nel demonizzare l’America che nel concentrarsi sulla sua complessità, corre d’obbligo segnalare un certo parallelismo identitario che investe tutto quel mondo che si definisce occidentale: Europa in primis. 

Con altra veste e altro nome, non è stato forse insegnato anche a noi del bel paese che l’impegno e il duro lavoro ci avrebbero permesso uno scatto sociale e la realizzazione (non citerò il famoso ascensore sociale, bloccato tra due piani non comunicanti almeno dagli anni ‘90 – si attende assistenza). Di fatto quella grande illusione che noi chiamiamo meritocrazia è fondante del nostro contemporaneo quanto il sogno americano lo è per quello Usa, senza che ci siano forse differenze troppo sostanziali. Anzi, cattolici fino al midollo, nella cultura nostrana non consideriamo l’avversità che può ribaltare il tavolo nel percorso di qualcuno, ma anzi ci raccontiamo che la colpa di chi non riesce è tutta sua. Insomma, cornute e mazziate. 

Invece di concentrarci su quanto fa schifo l’America che ha permesso tutto questo cerchiamo di capire che conseguenze avrà la sentenza della Corte sul piano mondiale, giacché le nostre destre stanno già cavalcando l’onda per ribadire quello che, puta caso, pensano da sempre sui diritti delle donne. E questo non è un male che viene dagli Usa, ma tutto nostro: non mi pare di aver visto altrettante persone indignate per i decreti sicurezza, o Pillon, o mezzo Parlamento che si alza ad applaudire per l’affossamento di una legge sui diritti civili. Qualcuna c’era, è ovvio, ma chi ora così nettamente si scaglia a definire mostruosi gli Stati Uniti, in quel caso spesso stava a fare distinguo senza lanciarsi a dire banalmente che – se guardiamo ai diritti civili – siamo un paese di merda tanto quanto, e spesso più, di molti altri.

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